
Ti è mai capitato di rimanere completamente senza parole davanti alla domanda di tuo figlio (o tua figlia) che ti chiede da dove vengono i bambini? Forse hai risposto con una spiegazione un po’ tecnica, tutte parole giuste… ma con il cuore che batteva forte. Oppure hai fatto finta di niente, cambiando discorso al volo, mentre dentro pensavi: “E se lo traumatizzo?", “Non so da dove iniziare!”, o anche solo “È troppo presto… non è pronto!”.
Lascia che ti dica una cosa un pò scomoda: quel disagio, quella fuga, quel silenzio… sono già una risposta. E sono sicura, non è la risposta che vorresti dargli.
Ogni volta che eviti l’argomento, tuo figlio impara che quella curiosità è “sbagliata”, che tu non sei la persona giusta a cui fare certe domande. E la prossima volta, magari, non te le farà più. Non solo.
Evitare l’argomento non lo protegge. Lo lascia solo. Lo consegna alle battute volgari a scuola, ai video espliciti online, alla confusione. E non è questo il tipo di “educazione” che vuoi per tuo figlio, vero?
Se anche solo una volta ti sei sentito impacciata/o, inadeguata/o, colta/o alla sprovvista… tranquilla/o: non sei sola/o. E oggi puoi smettere di improvvisare.
In questo articolo ti accompagno passo passo per capire come parlare di sessualità con tuo figlio dai 3 agli 11 anni in modo naturale, rispettoso, senza imbarazzi e senza scivoloni.
Perché parlarne è un dovere (non un optional)
Parlare di sessualità a tuo figlio non è un favore che gli fai se ti avanza tempo o se ti senti particolarmente ispirata/o. È parte del tuo compito educativo. È come insegnargli a lavarsi i denti, attraversare la strada, dire grazie.
Non è una materia accessoria. È una competenza di vita.
Se non sarai tu a farlo, qualcun altro lo farà al posto tuo. E spesso con contenuti sbagliati, confusi o inappropriati.
La sessualità fa parte dell’essere umano fi n dalla nascita. I bambini esplorano, chiedono, osservano.
La domanda non è SE si porranno certi interrogativi, ma QUANDO lo faranno e, soprattutto, CON CHI ne parleranno.
Non affrontare il tema significa trasmettere un messaggio implicito, ma potente: “Questo è un argomento tabù, qualcosa di cui vergognarsi o da evitare”. E i bambini imparano in fretta cosa è permesso e cosa no, anche senza che tu lo dica esplicitamente.
Quando invece sei tu a guidare la conversazione, offri un contesto sicuro, affettuoso e adatto alla sua età. Gli insegni che il corpo è qualcosa di bello e
degno di rispetto, che le emozioni si possono condividere, che le relazioni hanno valore.
Inoltre, la letteratura scientifica è unanime: bambini informati in modo adeguato e progressivo sono più protetti da abusi, più capaci di rispettare i confini altrui, più sicuri nel comunicare i propri vissuti.
Il punto non è parlare di tutto subito. Il punto è esserci, nel modo giusto, al momento giusto.
Perché il vero rischio non è dire troppo. Il vero rischio è non dire nulla.
Cosa si nasconde dietro le loro domande
Dietro ogni domanda che tuo figlio ti fa sul corpo, dietro ogni sguardo curioso o quel sorrisetto imbarazzato quando sente la parola “bacio”, c’è qualcosa di molto più profondo di quanto sembri.
Non sta solo cercando una risposta tecnica. Sta cercando un permesso. Un via libera. Ti sta chiedendo, senza dirtelo esplicitamente: “Mamma, papà… posso chiedere? Posso essere curioso? Tu ci sei per queste cose?”.
E tu, con ogni tuo gesto, con ogni parola detta (o non detta), gli stai già rispondendo.
Se reagisci con imbarazzo, con una battuta che taglia corto, o semplicemente cambiando discorso, tuo figlio impara che su certi temi è meglio tacere. Che non c’è spazio per le sue domande. Che forse ha chiesto qualcosa di sbagliato.
Ma se invece ti fermi, ascolti, rispondi con semplicità e naturalezza, gli stai comunicando: “Sì, puoi fi darti. Puoi chiedere. Con me puoi parlare di tutto.”
Ed è proprio da qui che si costruisce il dialogo vero. Quello che lo accompagnerà per molti anni.
E adesso preparati che ti porto nella pratica.
Dai 3 ai 5 anni: le prime domande, le prime risposte
Tra i tre e i cinque anni, iniziano quei momenti in cui tuo figlio ti coglie alla sprovvista con domande che non ti aspetti. Sei lì tranquilla, magari stai leggendo un libro o sei in bagno e lui ti guarda serio e ti chiede: “Ma io, da dove sono uscito?” oppure “Perché tu fai la pipì in modo diverso da me?”.
In quei secondi, dentro di te scatta di tutto: imbarazzo, paura di dire troppo, il desiderio di rispondere bene, ma senza sapere come. E spesso, per prendere tempo o perché ti senti in difficoltà, ti viene naturale distrarlo, svicolare, fare finta di non aver sentito.
Ma sono proprio quei momenti a rappresentare un’occasione preziosa per fare sentire tuo figlio accolto e rassicurato nella sua curiosità.
In questa fase i bambini sono molto incuriositi dal corpo, dal proprio e da quello degli altri. Proprio per questo fanno domande, ridono se sentono la parola “tette”, lo esplorano in modo molto concreto, osservandosi e toccandosi spesso i genitali. Un’azione automatica e ripetitiva che i bambini di questa età, compiono spesso sovrappensiero, per esempio guardando un cartone. E che
nulla ha a che vedere con la masturbazione vera e propria, anche se spesso la si definisce così impropriamente, rischiando di caricare questo comportamento di significato eccessivo.
Non c’è malizia, non c’è intenzione sessuale: c’è il desiderio, sano e naturale, di comprendere, ma anche di procurarsi una sensazione di benessere e rilassarsi. Il corpo è il loro primo linguaggio, il primo “oggetto di studio”.
Cosa puoi fare?
Quando ti accorgi che tuo figlio si tocca le parti intime, la prima cosa da ricordare è che non c’è nulla di sbagliato. È un gesto naturale, spesso legato alla scoperta o al bisogno di procurarsi una sensazione di benessere. Ma è anche un’occasione educativa importante. Puoi spiegargli con calma che certe parti del corpo sono molto preziose, intime, e che meritano attenzione e riservatezza. Un messaggio semplice ma chiaro potrebbe essere:“ Va bene farlo, ma solo in privato”.
E se ti senti impacciata/o o non sai da dove partire, puoi lasciarti aiutare da un albo illustrato ben fatto. Leggerlo insieme è un modo efficace per rompere il ghiaccio, dare parole ai gesti, e affrontare il tema senza imbarazzo né prediche. Spesso è più semplice parlare partendo da una storia che aprire un discorso da zero.
Rispetto, invece, alle domande cerca di rispondere in modo semplice, diretto, con parole comprensibili.
Usa i nomi giusti delle parti del corpo — pene, vagina, testicoli — senza drammatizzare o abbassare la voce. Non servono discorsi lunghi o scientifici, serve normalità.
Ti faccio un esempio concreto. Se tuo figlio ti chiede: “Perché Giulia non ha il pisellino come me?” Puoi dire: “Perché Giulia è una femmina, e il suo corpo è fatto in modo un po’ diverso. I maschi hanno il pene, le femmine la vagina”. E qui, fermati. Non aggiungere altro, a meno che non sia lui a chiedere di più.
Un trucco utile, se ti senti a disagio o non sai da dove cominciare, è rispondere con una domanda: “E tu cosa ne pensi?” oppure “Secondo te perché è così?”.
Questo ti permette di capire da dove parte la sua curiosità, cosa ha già sentito o capito, e ti dà lo spunto per rispondere in modo più preciso, senza dire troppo o troppo poco. È una strategia che funziona sempre, anche più avanti con l’età, perché ti aiuta a calibrare la risposta sul suo livello di comprensione. Non devi spiegare tutto subito. Basta restare lì,
accogliente. Se vuole sapere di più, rilancerà lui. E se non lo fa, vuol dire che la sua curiosità, per ora, è sazia.
Cosa evitare?
Non ridere come se fosse una battuta.
Non dire “Ma che domande fai!”.
Non sviare.
E soprattutto non aspettare che siano altri a rispondere per te.
Dai 6 agli 8 anni: i giochi, le regole, il consenso
In questa fascia d’età i bambini sono sempre più immersi nella socialità e nel gioco condiviso, e questo apre maggiormente alla curiosità verso il corpo
proprio e altrui. Tuo figlio comincia a vedere il mondo con occhi nuovi. Il suo sguardo si fa più curioso, le domande più dirette, i giochi più esplorativi, come i cosiddetti giochi “al dottore” o “a mamma e papà”. Non sono provocazioni, né stranezze: sono segnali che sta cercando di mettere insieme i pezzi di un puzzle molto più grande, quello dell’identità, delle relazioni, del corpo che cambia.
Magari ti chiede: “Come nasce un bambino?”, “Cosa serve per fare un bambino?”, “Come funzionano il corpo di una femmina e quello di un maschio?”.
Sappi che queste domande non sono mai casuali. A questa età i bambini osservano, ascoltano e vogliono capire. E con l’uso massiccio delle tecnologie, è molto probabile che vengano raggiunti precocemente e facilmente da riferimenti al sesso e alla sessualità da cui si sentono disorientati e confusi. E’ fondamentale, perciò, fornire loro informazioni corrette, per aiutarli a mettere ordine dentro di sé e a non sentirsi soli nel cercare risposte.
Non serve fare una lezione di anatomia, ma se tuo figlio ti chiede come nasce un bambino, puoi spiegare che ci vogliono un ovulo e uno spermatozoo, e che si incontrano nell’utero della mamma. Magari con l’aiuto di un buon libro illustrato e soprattutto senza tralasciare la parte meno “scientifica”, ovvero raccontando che tutto nasce all’interno di una relazione d’amore, da un legame importante, da sentimenti profondi.
Dietro queste domande c’è un bisogno profondo di conoscere, di sentirsi sicuro, di costruirsi una narrazione interna su cosa sia giusto o sbagliato, permesso o proibito, normale o “strano”. Ma soprattutto c’è la necessità di sapere che può rivolgersi a te. Anche se si sente confuso o a disagio.
No, non devi sapere tutto. Devi solo esserci. Con autenticità, con calma. Perché ciò che conta non è dare una risposta perfetta, ma farlo sentire accolto. E insegnargli che di queste cose si può parlare. In famiglia. Con te. Sempre.
Uno dei doni più preziosi che puoi fare a tuo figlio in questa fase è aiutarlo a costruire la propria bussola interna. E uno degli strumenti fondamentali per farlo è insegnargli il consenso.
Il consenso non è solo una parola da adulti. È un principio che si semina prestissimo. Vuol dire che tuo figlio può dire no, che ha il diritto di scegliere se farsi toccare, abbracciare, baciare. E che anche gli altri hanno lo stesso diritto.
Puoi iniziare da cose semplici: quando qualcuno gli propone di “dare un bacino alla zia” e lui esita o si irrigidisce, puoi intervenire dicendo con naturalezza: “Se non ti va, puoi semplicemente salutarla con la mano o con un sorriso. Va bene lo stesso”. Gli stai dicendo, senza farne una lezione, che il suo corpo è suo.
Che non deve farsi toccare per forza per non deludere qualcuno. Che può fi darsi di ciò che sente. E questo è un messaggio potente. Anche perché, se imparano da piccoli che possono dire no e che verranno ascoltati, sarà molto più facile — un giorno — che sappiano farlo quando davvero conta. In gruppo con gli amici, in una relazione, in un contesto difficile.
Dai 9 agli 11 anni: quel momento in cui tutto cambia (e tuo figlio ha bisogno di te più che mai)
Tra i 9 e gli 11 anni, inizia una fase di passaggio di cui non hai il tempo di accorgerti. Arriva all’improvviso, spesso senza grandi segnali.
Un giorno tuo figlio ti sembra ancora il tuo bambino di sempre — quello che guarda i cartoni, si addormenta sul divano con la copertina e ti cerca con lo sguardo ogni volta che si sente incerto.
Il giorno dopo lo sorprendi a chiudere la porta quando si cambia, a reagire con fastidio a una carezza.
Ti rendi conto, anche, che le emozioni sono più forti: l’entusiasmo è travolgente, la rabbia esplode in un attimo, la tristezza lo pervade per ore. Compaiono i primi segnali di pubertà, magari ancora lievi, ma sufficienti a creare disagio, vergogna, imbarazzo. E iniziano le grandi domande sulla vita, sull’identità, sulle relazioni, anche se a volte arrivano travestite da battute o frasi buttate lì con finta leggerezza.
È un periodo di transizione profonda.
Non più piccolo, ma nemmeno ancora grande.
Un territorio di mezzo in cui tuo figlio sta cercando di capire chi è, cosa prova, cosa lo rende accettabile agli occhi degli altri… e ai propri.
Ecco perché giocare d’anticipo è fondamentale. Non per mettergli in testa cose che “non è pronto a sentire”, ma per costruire con lui un terreno sicuro prima che cominci a cercare risposte da solo, in posti dove non sempre troverà ciò che serve davvero.
Perché in questa fase non ha bisogno di sapere tutto. Ha bisogno di sapere che ci sei.
No, non preoccuparti. Parlarne prima non vuol dire rovinare l’infanzia. Al contrario! Vuol dire proteggerla davvero.
Lo so, molti genitori, e se stai leggendo questo articolo sicuramente anche tu, temono che affrontare certi temi “troppo presto” possa confondere o anticipare qualcosa che magari non è ancora venuto fuori. Ma la realtà è un’altra: quando un bambino è informato con calma, affetto e parole giuste,
non si spaventa. Si rafforza.
Non c’è bisogno di un discorso perfetto, né di un momento solenne. Non devi aspettare che sia “pronto” nel modo che hai in testa. Perché spesso basta un piccolo gesto, una frase detta al momento giusto, un commento lasciato lì — ma carico di significato.
Come per esempio:
“Il corpo cambia. Succede a tutti, ma ognuno lo vive in modo diverso. Se un giorno ti capita qualcosa che non capisci, o ti senti strano, sappi che con me ne puoi parlare”.
È una frase semplice. Ma apre una porta enorme. Perché quello che tuo figlio sente non è solo “puoi parlarmi del tuo corpo”. Sente molto di più: “Non sei strano. Non devi affrontare tutto da solo. Io sono qui. Non per giudicare, ma per ascoltare”.
Questo tipo di apertura non forza nulla e non anticipa niente che non sia già presente — magari in forma vaga o confusa — nella mente di tuo figlio. Semplicemente, gli offre uno spazio sicuro, dove potrà far uscire quello che ha dentro quando sarà il momento. E se sa che quel posto esiste, e che sei tu, ci tornerà. Sempre.
Ma creare questo spazio è solo il primo passo. Perché sì, iniziare a parlarne è fondamentale. Ma non basta.
Ciò che cambia in questa fase non si ferma al corpo. Quella è la parte più evidente: i primi peli, la voce che si trasforma nei maschi, la comparsa del “bottone” mammario nelle femmine, l’odore che cambia, l’incremento della statura…tutto questo è solo la punta dell’iceberg. Sotto la superficie, succede molto di più.
In questa fase, infatti, le emozioni si fanno più complesse per tuo figlio: imbarazzo, attrazione, confusione, curiosità, vergogna. E allora può sentirsi agitato senza sapere perché. Può essere nervoso, taciturno, chiuso. Oppure euforico e iperattivo. A volte alterna tutto questo nello stesso pomeriggio. Magari ride con te a tavola, e mezz’ora dopo lo trovi chiuso in camera, con lo sguardo perso nel vuoto. Gli chiedi: “È successo qualcosa?” E lui risponde: “Niente”. In realtà, non è che non sente niente. È che non sa come dirlo. E allora, a volte, testa il terreno. Ti lancia segnali deboli. Domande mezze serie, mezze scherzose. Osserva le tue reazioni più che ascoltare le risposte.
• “Cos’è l’amore, secondo te?”
• “Ti ricordi quando ti sei innamorata/o per la prima volta?”
• “È normale se mi sento attratto da un mio amico?”
• “Cosa significa essere maschio o femmina?”
Sono domande che mettono in crisi tanti genitori. Perché arrivano all’improvviso, spesso quando non te le aspetti. Magari siete in macchina, o in fi la al supermercato. E lì parte il panico: “Cosa gli rispondo? Cosa sarà giusto dire? E se sbaglio?” La verità?
Non devi avere tutte le risposte. Tuo figlio non cerca un enciclopedia. Cerca un punto fermo. Vuole sapere che può parlare con te senza rischiare di essere corretto, giudicato o liquidato. Vuole sentire che le sue domande non sono strane, sbagliate o “troppo precoci”.
Anche solo rispondere con un: “Bella domanda, Possiamo parlarne, se vuoi” oppure “Non ho la risposta perfetta, ma sono felice che me l’hai chiesto!”…fa una differenza enorme.
Perché comunica una cosa semplice e potentissima: “Con me, puoi essere te stesso”. E proprio quando cominci a sentirti un po’ più sicuro nel dialogo e a rispondere alle sue domande senza arrossire, arriva lui, Il tema che manda in tilt anche i genitori più aperti: quello dei contenuti espliciti, la pornografi a, le immagini che non vorresti mai che tuo figlio vedesse.
Quelle per cui non servono ricerche strane. Non serve digitare nulla su Google. E non serve neanche che tuo figlio abbia un cellulare tutto suo. A volte gli basta un minuto con quello di un compagno, o qualche attimo con il tuo, mentre aspetti che si scarichi un gioco o si carichi un video.
E in quel minuto, basta un tocco. TikTok. YouTube. I reel su Instagram. Un video
“consigliato”… e puff! Gli arriva addosso qualcosa che non era pronto a vedere.
Magari è un’immagine volgare camuffata da meme. O un video non palesemente a sfondo sessuale ma pieno di doppi sensi, che fa ridere tutti, anche se lui non afferra esattamente il significato. Forse ride anche lui, per stare al passo con gli altri, per non sentirsi fuori posto. Oppure no. Magari si irrigidisce. Fa un gesto rapido, cambia app, si volta dall’altra parte. E fa finta di niente. Ma tu lo noti. Lo sguardo è cambiato. Un’espressione nuova, che prima non c’era. Una piccola tensione nel corpo, un silenzio un po’ più denso del solito. Non sai cosa ha visto, ma senti che qualcosa si è mosso. Qualcosa che forse non era pronto ad affrontare. Che lo ha colto alla sprovvista. Che lo ha lasciato confuso, o con un senso di disagio che non sa bene dove mettere.
E lì, in quell’istante in cui lo osservi senza sapere come avvicinarti, arriva quella sensazione che ogni genitore conosce fi n troppo bene: “Avrei dovuto parlarne prima.”, “Forse, se avessi aperto il discorso, ora saprebbe che può venire da me.”
Perché il punto non è se lo vedrà. Lo vedrà!
Il vero rischio è che non ne parli. Che inizi a costruirsi un’idea del sesso, dell’amore, del corpo, basata su quello che passa da uno schermo. Fatta di immagini false, relazioni senza empatia, messaggi senza rispetto. E se non ne parla con te, si tiene dentro il dubbio. E quando c’è silenzio, i dubbi diventano verità. Ecco perché vale la pena arrivarci prima, prima che sia internet a riempire quel vuoto. Non serve un discorso da adulti, né mettersi in cattedra. A volte basta una semplice frase, detta con calma:
“Ti è mai capitato di vedere qualcosa online che ti ha lasciato un po’ così? Quelle cose che girano, lo sai, sono fatte apposta per colpire, per far ridere o scioccare. Ma spesso non mostrano rispetto, né la realtà. E quello che provi, qualunque cosa sia, non è sbagliato. Se succede ancora, puoi parlarne con me. Non ti sgrido, non ti prendo in giro.”
Un’altra strategia efficace? Guardare insieme un fi lm che tocchi, anche solo di striscio, temi legati alla sessualità, al rispetto, alla relazione. Non serve che sia esplicito: bastano una scena di un primo bacio, un dialogo tra due adolescenti, una situazione di disagio. Può essere l’occasione per fare una pausa e chiedere, con naturalezza:
“Tu cosa ne pensi?” “Ti è mai capitato di vedere o sentire qualcosa di simile?” “Secondo te, quello è rispetto?”
Quel momento condiviso diventa un ponte. Non sei più il genitore che fa “il discorso”. Sei la persona con cui guardare il mondo e farsi domande insieme.
E anche se tuo figlio non risponde subito, anche se cambia argomento… tu hai aperto la porta. E prima o poi, tornerà a bussare.
Una volta che la porta è aperta, puoi iniziare ad ampliare il discorso. Non tutto in una volta, certo — ma poco a poco, seguendo i segnali che tuo figlio ti dà. E uno dei primi temi da affrontare, dopo aver parlato di ciò che può capitare online, è quello delle relazioni. Perché è proprio in questa età che comincia a formarsi l’idea di cosa significhi “stare con qualcuno”. Magari te lo
racconta a metà, mentre mangia la merenda: “Giulia ha detto che è fi danzata con Mattia”. Oppure ti chiede di colpo: “Ma come si fa a capire se ti piace qualcuno?” Sì, sono domande leggere — ma sotto c’è molto. E tu puoi coglierle per iniziare a costruire con lui una bussola. Non un elenco di regole, ma un senso profondo di cosa voglia dire rispettare ed essere rispettati. Puoi chiedere: “Secondo te, quando si vuole bene a una persona come ci si comporta?” “Se qualcuno ti fa sentire sbagliato o ti mette pressione… secondo te è amore?” Non è teoria. È prevenzione.
Stai piantando semi preziosi che, nel tempo, lo aiuteranno a riconoscere un legame sano — e ad allontanarsi da ciò che non lo è. Prima che diventi troppo tardi. Prima che ci finisca dentro.
E oggi, lo sappiamo, le relazioni non passano solo dalla realtà fi sica. Anzi, a volte iniziano (e si complicano) proprio dietro uno schermo. Parlare di sicurezza online non è più un’opzione. È un’urgenza educativa. Perché basta poco: un messaggio privato, una foto inviata “per scherzo”, uno screenshot che finisce nel posto sbagliato.
Ecco, qui non basta dire “non si fa”. Serve dare criteri, strumenti per pensare. Puoi dirgli: “Non mandare mai qualcosa che ti metterebbe in difficoltà se finisse in mani sbagliate. Voglio che tu ti senta sempre al sicuro. E se succede qualcosa… io ci sono. Senza panico”. Quel “io ci sono” è tutto. È la frase che trasforma la paura in fiducia. Che gli dice: “Non devi cavartela da solo. Anche se sbagli, non sei solo.”
Non aspettare il momento giusto, Il momento è adesso!
Quando tuo figlio capisce che può parlarti di queste cose — che può chiederti, confidarsi, esplorare senza sentirsi fuori posto — allora ha trovato qualcosa di raro: un punto fermo in mezzo alla confusione.
E questa è la vera forza di un genitore: non avere tutte le risposte, ma esserci quando servono davvero.
Ora, diciamoci la verità. Parlare di sesso, di corpi, di identità oggi è diventato complicato. Ma per chi crede, diventa anche una responsabilità ancora più grande. Perché non si tratta solo di “spiegare come funzionano le cose”.
Si tratta di educare con uno sguardo fondato e radicato nelle Sacre Scritture.
Di accompagnare tuo figlio a scoprire che anche il suo corpo è parte della meraviglia della creazione. Che il desiderio, l’attrazione, la sessualità… non sono “cose da evitare”, ma realtà da capire. Da custodire. Da rispettare.
La Bibbia non ci dice di stare zitti. Ci incoraggia, invece, a parlare con i nostri fi gli, a mantenere un dialogo vivo con loro :
… quando sei a casa, quando cammini, quando ti corichi, quando ti alzi.” Deuteronomio 6:7 Sempre. Anche quando è scomodo. Anche quando vorremmo solo cambiare argomento. Perché i fi gli non crescono “a compartimenti stagni”.
Il Vangelo non tocca solo lo spirito.
Tocca la vita dei nostri bambini a 360 gradi.
Tocca il corpo. Tocca la mente.
Tocca la vita vera quella di tutti i giorni. E noi genitori, non possiamo accontentarci di incidere solo sulla loro spiritualità, perché in questo modo
dimentichiamo le rivendicazioni olistiche del Vangelo che toccano il corpo, la mente, la cultura, insomma la vita intera. Lo so, non è facile. Non c’è un manuale che ti dice esattamente cosa dire quando tuo figlio ti chiede: “Mamma, cos’è il sesso?” “Papà, ma se uno vuole essere femmina anche se è maschio?” E allora vai a intuito. Cerchi le parole giuste. Aspetti il momento buono. E spesso, alla fi ne, non dici nulla. Per paura di sbagliare. O peggio, aspetti che sia lui a tirare fuori l’argomento. Ma lo sai anche tu: quel momento non arriva mai da solo. Nel frattempo? Lui le domande se le fa. Ma non le fa a te. Le fa dentro di sé.
Le scrive su Google. Le chiede a un amico più sveglio. O se le sente spiegare — male — da un video a caso su YouTube o TikTok.
E lì, il rischio è grosso.
Perché se non sei tu a dargli gli strumenti per capire, qualcun altro gli offrirà la sua versione. Una versione semplificata. Distorta. Spettacolare. Tossica.
E lì non si tratta più solo di “educazione sessuale”. Si tratta di identità. Fede. Vita intera.
Si tratta di qualcosa di molto più profondo: di come tuo figlio imparerà a guardarsi allo specchio. Di che idea si farà del proprio corpo. Di cosa penserà sia giusto accettare — e cosa no — in una relazione. Significa insegnargli che può dire “no” senza sentirsi sbagliato. E che, allo stesso modo, è sano accettare un “no” dagli altri. Significa aiutarlo a capire che il rispetto va chiesto, ma anche dato. Tutto questo sarà la base su cui costruirà la sua autostima, il suo modo di stare nel mondo, i suoi confini personali. E non per qualche mese. Ma per tutta la vita.
Ecco perché aspettare non è più un’opzione. Non se vuoi dargli strumenti reali, prima che lo faccia qualcun altro — con meno attenzione, meno amore, meno verità.
Se sei arrivata/o fi n qui, lo sai già. Questo è il momento.
Parlare con tuo figlio non può più aspettare.
Perché ogni giorno che passa senza una guida sicura è un giorno in cui qualcun altro — un video, un amico, un algoritmo — potrebbe prendere il tuo posto. E non lo farà con la stessa cura. Né con lo stesso amore.
Se senti che è arrivato il momento di affrontare temi scomodi — ma fondamentali — come sessualità, corpo, emozioni e rispetto, non aspettare che sia troppo tardi.
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